6 Novembre, 2018 – Liceo Motzo, Quartu S. Elena
Le strutture della scuola nella quale insegno sono carenti e spesso disagiate. Non godiamo di una biblioteca, di un’aula magna o di una sala conferenze. Appena si entra in uno qualsiasi dei plessi di cui l’istituzione scolastica dispone, non si ha l’impressione di varcare le soglie di un “austero” tempio del sapere, ma di essere dentro un luogo in cui modernità e efficienza sono un eufemismo. Nonostante tutto, inizio un progetto di didattica laboratoriale nell’ambito del PCTO, il quale mi dà modo di conoscere le risorse umane di questa scuola ad ampio raggio.Ho iniziato gli incontri in una delle sedi più disagiate (peraltro condivisa con una scuola elementare dalla quale siamo separati da una porta antisfondamento). Basti pensare che per usufruire del bagno ho dovuto attraversare i due edifici, percorrendo due piani di scale solo perché il bagno al piano terra era inagibile, causa presenza dei ratti. Ma non c’è di che stupirsi. E forse proprio per questo la pubblica amministrazione se ne infischia beatamente, nonostante le accorate proteste dei genitori e le battaglie “donchisciottesce” del Dirigente Scolastico. Rifletto sul fatto che le scuole, a tutti i livelli dell’istruzione, dovrebbero essere luoghi di apprendimento funzionali allo sviluppo di persone “capaci”, ovvero di cittadini attivamente impegnati nello sviluppo e nel miglioramento della società; o, perlomeno, questo vorremmo che fossero i nostri studenti e le nostre studentesse. Non posso, quindi, che provare un sentimento di indignazione, soprattutto alla luce dei prossimi tagli “ridimensionamenti” (altro eufemismo) che investiranno l’istruzione pubblica, pur essendo la scuola già in un avanzato stato di esaurimento. Ho frenato a stento la mia parte ribelle, la stessa che si accanisce contro le ingiustizia e che lotta per difendere i più deboli, anche quando la posta in gioco è l’isolamento, la solitudine, il disprezzo dei molti bugiardi megalomani travestiti da “Santi” e salvatori della patria. Ho soffocato anche l’impulso di girare sui tacchi e andarmene. Questo per non dare ragione a quanti vorrebbero vederci stesi al tappeto, affermando di voler cambiare in “meglio” un sistema scolastico vecchio bacucco, del quale, però, non hanno alcuna cognizione di causa. Soltanto ci avvelenano con le loro pozioni magiche e, ormai sempre più spesso, incantano con i loro giochetti ad effetti speciali. Dunque, Ho accettato la sfida, mettendo in conto anche la possibilità del fallimento. Sono entrata in classe, dove ad aspettarmi c’erano i veri protagonisti di questa storia: studenti e studentesse. Loro che, nonostante i numerosi problemi, non perdono mai occasione per regalarti un sorriso o una parola di ringraziamento. Loro che, dietro fatalismo e rassegnazione, desiderano d’essere motivati ad apprendere. Glielo si legge negli occhi, che brillano se capiscono il perché di ciò che si sta facendo. In quel momento, mi è tornato in mente che in uno dei plessi della scuola c’è un piccolo giardino nel quale fioriscono le mie rose preferite: alcune rosse, alcune gialle, altre arancioni. Tutto mi è apparso chiaro. Ho chiuso la porta dietro di me, dando inizio ai lavori, finalmente consapevole di non voler essere in altro posto che lì, con le rose del mio giardino.