9 Giugno 2018.
Con oggi si conclude la mia esperienza biennale al Liceo De Castro di Oristano, esperienza a suo modo unica e indimenticabile; grazie anche agli studenti, ai colleghi, a tutte le figure professionali con le quali ho avuto modo di collaborare. Si è trattato di anni speciali, seppur faticosi ed estenuanti, prima di tutto perché hanno rappresentato il mio primo vero incarico da docente di ruolo. Il 2015/2016, infatti, è stato l’anno fatidico della mia immissione in ruolo, dopo quasi dieci anni di precariato. Il cosiddetto anno di prova più kafkiano che mai, essendomi ritrovata nella condizione di insegnante senza classe né alunni: condizione, questa, a dir poco destabilizzante, nella quale o perdi del tutto la motivazione o trovi in te stesso la forza per ridisegnare il tuo profilo professionale e il tuo ruolo all’interno della scuola. Personalmente, sono riuscita a trasformare un tiro mancino in una grande occasione di crescita. Ciò mi ha permesso di iniziare il mio nuovo anno scolastico con uno slancio e con una carica impensate, nonostante la mia sede scolastica si trovasse a 100 Km da Cagliari, dove vivo. Si è trattato di un percorso fatto di esperienze umane e professionali non sempre in discesa e le cui difficoltà sono state amplificate dal pendolarismo, ma che, nonostante tutto, mi hanno dato modo di esplorare e affinare al meglio la componente emotiva di questa professione: ciò che c’è di bello e puro quando nell’insegnamento scegli di adottare quell’approccio che io amo definire della “razionalità affettiva”, anche nelle situazioni più difficili e, apparentemente, grottesche o irrimediabili. Sì, perché quando sceglie di gettarti dentro questa professione cuore, anima e corpo (con tutte le sfide che questo comporta), è solo perché ci credi e vorresti dare il meglio di te, seppur con tutti i limiti del caso. La posta in gioco non è il successo professionale, l’avanzamento di carriera. La posta in gioco è il successo con gli studenti, i quali per primi richiamano ad una grande responsabilità: prendersi cura di loro in quanto persone uniche e irripetibili. Impegno assai arduo, che esula in parte delle conoscenze che potrai trasmettere e dai contenuti che gli studenti apprenderanno a loro volta, certe volte con successo, altre no. La posta in gioco sono io stessa, come insegnante e come donna che vuole essere padrona del proprio tempo e desidera stare bene in quell’hic et nunc che si consuma in classe, esattamente come un pesce sta bene dentro l’acqua. Dal mio punto di vista, ogni attimo, ogni giorno dedicato, ogni azione compiuta, ogni parola spesa, ogni persona incontrata, hanno lasciato un segno indelebile; un colore più intenso in quel cammino lungo e faticoso verso la consapevolezza di se stessi. Porterò nel cuore ciascuno degli studenti che ho avuto il privilegio di incontrare. Ma soprattutto rimarrà impressa nella memoria del mio cuore S, una studentessa che tra le lacrime mi ha detto: «Prof., non ce l’ho fatta». S, che con il suo pianto sincero e disarmante, mi ha fatto il dono di entrare nella regione sacra e inviolabile dei sentimenti, regalandomi una preziosa verità: le persone sono meravigliose proprio perché fallibili. Da un fallimento, infatti, ci si può sempre riprendere e di nuovo ricominciare. Così come recita anche una canzone di Fabrizio De André: «Dai diamanti non nasce nulla, dal letame nascono i fiori». S, non lo sa, ma in quell’istante ha superato ha superato a pieni voti la sfida più grande: non venir meno a se stessi, alla capacità, per niente scontata, del non sottrarsi alla responsabilità delle proprie azioni. Allora grazie a S e a tutti gli studenti dai quali ho imparato tanto. Li stringo tutti in abbraccio.