Sono le 6:00 del mattino: il momento del giorno che apprezzo di più; il momento del dialogo del “due- in- uno”. È l’ora in cui il sole sonnecchia ancora un pò, mentre preparo il caffè in languida penombra e lo offro all’altra me stessa. Cominciamo a chiacchierare, a fare il punto dell’anima, ad intrecciare nuove trame in questo telo immenso che è l’esistenza: avvenimenti che si affollano, situazioni irrisolte e paradossali, ricordi belli e ricordi brutti, esperienze, persone, stati d’animo. Nel silenzio di questo dialogo, complice me stessa, mi esercito nell’impresa più difficile al mondo: ascoltare e, nell’ascolto, attendere che la comprensione arrivi, imprevedibile come questi spruzzi di di luce che filtrano dalle fessure della finestra.
Se è vero che la comprensione è la sintesi di un lento, talvolta febbricitante, processo di riflessione; è altrettanto vero che essa invade la mente come una folgore, che scuote l’ordinato agglomerato di stanze di cui l’intelletto è garante e custode, afferra la ragione e la spinge verso orizzonti sconosciuti, meno tranquilli ma più confacenti alla sua inesauribile sete di assoluto. È un volo leggero senza le valige pesanti della logica: come un salto dura appena un istante. Ricado nel mosaico confuso della quotidianità, dove al centro una luce distesa acciuffo pensieri come dita allungate di una mano in controluce.